L'esportazione di derrate alimentari, coltivate nella fertile e ubertosa pianura friulana, verso la Carinzia e il dominio degli Arcivescovi di Salisburgo mise a contatto i friulani con la ricca produzione d'argento delle miniere carinziane presso Friesach.
Fin dal 1130 ivi era stata aperta una zecca che permetteva di monetizzare immediatamente il prezioso metallo bianco, limitando le spese di manodopera e di trasporto relative alla monetazione. Il conio dei denari di Friesach era primitivo ed essenziale, ma la sua semplicità offrì il fianco all'imitazione che fu subito messa in atto dai paesi confinanti, non appena il largo credito acquisito dalla loro bontà fece apprezzare i frisacensi qualche punto percentuale al di sopra del puro valore del metallo.
Il nome di Friesacher, Frisacensi, nelle sue svariate deformazioni dialettali, dovute all'adattamento ai diversi idiomi, si estese alle imitazioni che di tali monete furono fatte nel dodicesimo secolo, anche a Trieste, Lubiana e altre città della Carniola e, in Friuli, a Latisana, Aquileia, Gorizia. Le imitazioni circolavano indifferentemente assieme agli originali, come testimoniano i ritrovamenti. I padroni delle miniere di Friesach, che erano gli arcivescovi di Salisburgo ed i vescovi di Gurk, protestarono energicamente presso la Corte Imperiale contro l'abuso che essi ritenevano venisse commesso alle loro spalle e le proteste ebbero il successo di una famosa sentenza emessa dalla Dieta Imperiale di Milano nel 1195, che proibiva la coniazione di monete di quel tipo da parte di terzi.

DENARI PATRIARCALI AQUILEIESI



Gli interessi legati alla monetazione dovevano però essere importanti, poichè il patriarca di Aquileia, Pellegrino II, reagì immediatamente: il 25 novembre dello stesso anno chiese a Pietro, notaio imperiale a Udine, di copiare e iscrivere a rògito un atto, datato 1028, con il quale l'Imperatore avrebbe concesso il diritto di zecca addirittura già al patriarca Poppone, di buona memoria. Dell'atto originale nulla mai più si seppe. In compenso venne messo in circolazione qualche esemplare di denario aquileiese con l'effigie di Poppone, di cui uno o due sopravviveranno fino ai nostri giorni.
Il 1195 è dunque un anno importante per la storia numismatica del Friuli. Da quella data in poi, i denari aquileiesi patriarcali assunsero la loro caratteristica forma scodellata e divennero presto famosi ed apprezzati per il buon titolo e la squisita fattura, opera di artigiani toscani quivi emigrati.
L'organizzazione della zecca patriarcale era affidata a società o confraternite di monetarii ed il Patriarca ne ritraeva un utile non indifferente. Si conservano numerosi atti burocratici che portano alla nostra conoscenza i dettagli dei contratti stipulati tra il titolare del diritto di zecca e gli ufficiali che ne organizzavano il funzionamento.
Vennero prodotte esclusivamente monete d'argento: di titolo alto (nei primi tempi 900, poi 800 millesimi, in seguito, a piccoli passi, diminuendo fino al titolo di 500 millesimi) e di titolo basso, inferiore al 10 per cento, per la circolazione spicciola: i cosiddetti piccoli che erano l'unità di conto pari, in tempi normali, a 1/14 della specie maggiore. I prezzi, le multe, i contratti si esprimono per lo più nella specie minore, considerata però piuttosto a peso che a numero. Della circolazione monetaria all'epoca patriarcale temo che oggi si abbia un'idea falsata: i ritrovamenti monetali dei nostri tempi, le maggiori fonti di notizie riguardanti la monetazione di quell'epoca, riguardano infatti soprattutto denari d'argento buono; ma siamo certi che le monete dei tesori sepolti che oggi riscopriamo siano effettivamente quelle che circolavano di più? Mi spiego con un esempio: se oggi a qualcuno venisse in mente di sepellire un tesoro, metterebbe in salvo banconote e monete d'acciaio o non preferirebbe piuttosto nascondere sterline e marenghi d'oro e vecchie monete d'argento, che però ormai nulla hanno a che fare con la circolazione monetaria?
Nei luoghi frequentati da molte persone, come per esempio le chiese o i cimiteri, i ritrovamenti sporadici di monete riguardano quasi sempre la specie più vile e di minor valore, ma di uso evidentemente quotidiano.
È opinione degli studiosi che i patriarchi aquileiesi siano stati i primi a porre il loro stemma sulle monete. Gli stemmi, come si sa, nacquero all'epoca dei grandi tornei cavallereschi e servivano a riconoscere anche da lontano gli eroi del momento. In seguito entrarono a far parte essenziale del sigillo ufficiale e, proprio nelle monete del tredicesimo secolo, cominciano a ricoprire il loro importante ruolo nella vita di relazione e nella storia.
Dal punto di vista del loro aspetto esteriore, infine, i numismatici distinguono tre categorie di denari aquileiesi:
1. primitivi: imitazioni dei denari frisacensi, nella seconda metà del dodicesimo secolo;
2. scodellati: cioè con i bordi rialzati, per l'allargamento della parte centrale dovuta alla pressione del conio, che era di diametro inferiore a quello dei tondelli monetali, fino all'epoca di Pagano della Torre (1319-1332);
3. piani: di peso, dimensioni e titolo di purezza ridotti, da Bertrando fino alla fine del Patriarcato come potere temporale (Conquista dei Veneziani nel 1420). Si tratta probabilmente di adeguamenti al gusto delle diverse epoche, ma forse anche di progressi tecnologici, tesi a ridurre le spese di coniazione, senza rinunciare a prodotti di bell'aspetto e di difficile contraffazione.