La città di Aquileia nasce come base militare romana prima per espandersi verso l'Italia, e successivamente verso l'Istria e la Dalmazia. Giulio Cesare ricorda castra hiberna, cui egli stesso fece ricorso per le truppe durante le campagne galliche. Ma ad esse si aggiungono motivi economici, prima verso il Norico, che rappresentava la primaria via dell'oro e dell'ambra, verso l'Istria per l'olio ed il vino, poi verso la Pannonia. Aquileia divenne così un nodo viario importantissimo per la Gallia dall'Occidente (via Postumia, via Annia) e da e per l'Oriente (via Gemina) ed anche verso le Alpi.



Domati gli Istri (178-177; e 129 a.C.), Aquileia fu necessaria ai romani per le conquiste contro gli Illiri (167 a.C.) e contro il dalmata Delminio (156, 119) e contro i Giapodi, Taurisci e Carni (129 a.C.). Sempronio Tuditano, vincitore di quest'ultima campagna, ha una statua al Timavo, santuario preromano. Anche M. Emilio Scauro (115 a.C.) risulta vincitore dei Carni-Taurisci, ma una pacificazione duratura si otterra' solo con Augusto, verso la fine del I sec a.C. che fisserà i nuovi confini ad oriente del territorio. Aquileia diviene così il capoluogo della decima regione Venetia et Histria (nome che viene attribuito in ricordo delle popolazioni che maggiormente resistettero alla romanizzazione - gli Istri - e della civiltà veneta che più di altre contribuì a dare un assetto culturale all'area orientale italiana. Questa regione che comprendeva anche Brescia e Cremona, fece fiorire, in età augustea, una cultura letteraria di grande valore con Virgilio, Livio, Catullo, che non raggiunse però, come avvenne per quella artistica, la stessa città di Aquileia.
Quando Aquileia, nell'89 a.C., divenne municipium era presente una composizione etnica molto disparata: agli elementi indigeni (veneti, celtici, illirici, etruschi) si erano aggiunte, con le loro culture, le popolazioni dell'Italia centro-meridionale e più tardi i soldati ed i commercianti greci ed orientali, soprattutto siriaci. Ebbe quindi notevole sviluppo l'agricoltura, con pregiate culture. In Aquileia era presente un forum pequarium (foro boario), dove affluivano merci di ogni genere, metalli, legname, lana, lino, cui erano collegate imprese artigianali, industrie alimentari, di terracotta e ceramiche e soprattutto vetrarie con forgiatori anche di metalli preziosi. Divennero così famosi anche i sarcofagi attici, ricercati in tutta l'Italia settentrionale.
L'azione della cultura romana non riuscì ad offuscare gli antichi culti romani: su tutti prevaleva il dio Beleno, forse di origine gallo-carnica, ma era vivo anche quello della Fonte del Timavo e di alcune divinità fluviali (Aesontius) e boschive (Silvanus), oltre naturalmente a quelle romane (Mars. Mercurius, ecc). Durante il terzo secolo furono accolti anche i culti orientali di Iside e di Serapide ed il culto a Mitra. Potente anche fu la comunità giudaica, che probabilmente rappresentò il tramite per la diffusione del cristianesimo.
La stessa arte raggiunse livelli molto alti di originalità e di pregio: la società opulenta era attratta dall'insistenza cromatica dei mosaici pavimentali, quando altrove si predilegeva il bianco ed il nero.
La vita quieta ed opulenta di Aquileia fu turbata da nuovi avvenimenti che segnarono crisi più profonde; nel 169 d.C., i Quadi ed i Marcomanni assediarono Aquileia, successivamente sconfitti da Marco Aurelio: un altare eretto da un certo Eures ricorda Giove come Iuppiter, victor, conservator, defensor. Da quel momento Aquileia diventò zona d'interesse militare per le Alpi Giulie e fu circondata da opere difensive (Claustra Alpium Iuliarum) sotto il comando di un comes Italiæ, residente ad Aquileia.
Furono rinnovate le cinte difensive e le mura con il sacrificio di non pochi monumenti sacri e profani per far fronte al bellum aquileiense, che corrispondeva, nel 238 d.C., all'avanzata verso l'Italia di Massimino il Trace e all'assedio di Aquileia. Quando nel 235 d.C. Massimino era stato proclamato Imperatore in Germania dalle sue truppe, esasperate dall'indecisione di Alessandro Severo, si sollevarono varie province romane. Quando la rivolta passò in Italia, Massimino intraprese una spedizione contro Roma, partendo dalla Pannonia, occupando con facilità Lubiana (Emona), passando le Alpi e gettandosi nella pianura aquileiese, iniziando l'assedio della città. Ma gli abitanti del territorio si erano intanto rifugiati ad Aquileia ed avevano pertanto aggiunto forze a quelle dei cittadini, componendo un corpo di difesa spontaneo, che voleva salvare la città a vantaggio di Roma. Coordinavano la difesa i consolari Crispino e Menefilo. Per ritardare l'avanzamento di Massimino, nella primavera del 238 era stato abbattuto il grande ponte in pietra che superava l'Isonzo sulla via che scendeva dalla Valle del Vipacco (Fluvius Frigidus). Per superare il corso del fiume ingrossato furono impiegate grandi botti di legno, quelle che sostituivano le anfore. Per rappresaglia, da parte di Massimino, furono tagliate tutte le vigne del territorio aquileiese, perchè gli abitanti si rifiutavano di accogliere e di trattare il "barbaro Massimino". L'attacco alla città risultò estremamente difficile più dalla parte degli assedianti che degli assediati. La situazione degli assalitori si fece ancor più difficile quando accrebbero la diffidenza e le ribellioni un pò dovunque; nella pianura padana s'ammassavano uomini a lui contrari ed anche a Ravenna: qui arrivò la notizia della sollevazione degli stessi soldati di Massimino, i quali , vista l'inutilità dei loro sforzi, uccisero lui e suo figlio Massimo.

Il fianco di una stele è visibile di fronte ai resti del porto fluviale: essa raffigura Aquileia (la sua corona è portata da un'aquila) che s'inginocchia e bacia la mano destra di una figura femminile seduta, avente la corona turrita ed impugnante con la sinistra una lancia od uno scettro. La stele reca la dedica di due ufficiali alla Triade capitolina ed a Marte. Ma accanto al senso di devozione e di responsabilità verso Roma da parte di Aquileia, va tenuto conto l'interesse economico che era minacciato da un'eventuale frattura a Nord delle Alpi: Aquileia era anche centro vinicolo e porto attraverso cui passava specialmente l'olio africano. Le ripercussioni furono ugualmente gravi, se la stessa banchina portuale ed il letto del fiume Natisone accolsero le fondazioni di una spessa muraglia con torrioni.
Fra il terzo ed il quarto secolo, la città si distingueva per la sua posizione e le sue strutture, per il porto e le opere pubbliche. La ricostruzione voluta da Diocleziano e la sistemazione di Costantino ridanno sicurezza ai traffici ed alla vita nel territorio, benchè incominciasse già a farsi sentire il fenomeno dell'urbanesimo. Aquileia era sede, oltre che del comes ItalIae, del corrector Venetiarum et Histriae, del Praefectus classi Ventum, procurator monetae Aquileiensis (la zecca fu attiva dal 294 al 425). Alla fine dell'età antica risulta essere, secondo Ausonio, la nona città dell'Impero, ma la quarta in Italia dopo Roma, Milano e Capua.
Le presenze militari si intensificano in Aquileia, senza che la città risenta molto della crisi romana che si va acuendo. La sua posizione di controllo come porta orientale d'Italia si fa sempre più rischiosa. Il suo nome compare sempre più spesso in occasione di guerre civili, di minacce barbariche e di invasioni vere e proprie: gli Alemanni devono essere ricacciati da Gallieno (260-268) e poi anche Claudio (268) accorre sul Garda. Suo fratello Quintillo, incaricato di controllare i confini orientali, viene proclamato Imperatore ad Aquileia (270). Contemporaneamente però anche Aureliano è acclamato dalle sue truppe a Sirmio (270-275) ed accorre più volte ad Aquileia.
Il soggiorno di Diocleziano e di Massimiano ad Aquileia fra il 303-304 è legato all'ultima persecuzione contro i cristiani, che fu a lungo ricordata perche' diede dei martiri anche in Aquileia. La presenza degli Augusti segna l'ultimo atto di venerazione a Beleno, in antitesi al cristianesimo ed in omaggio al culto tradizionale.
Costantino aveva un palazzo sontuoso ad Aquileia, dove soggiornava frequentemente. Si vuole ricordare il panegirico in occasione del suo matrimonio con Fausta, figlia di Massimiano (307), in cui un dipinto absidale mostra la giovinetta nell'atto di offrire un elmo d'oro al fidanzato. Altri fatti sono legati alla dinastia Flavia avvenuti ad Aquileia o nei suoi dintorni: alcuni tragici, come la morte di Costantino II (339) o quelli avvenuti per la cresciuta pericolosità delle difese alpine. Giuliano l'Apostata conferma però che fino al 360 la città rimase inespugnata. Ma l'estrema resistenza proprio a Giuliano da parte degli Aquileiesi, fedeli a Costanzo, fu interpretata come un monito divino contro l'Apostata. Le interpretazioni cristiane dei fatti sono ormai prevalenti, anche se nella lode a Valentiniano ed a Valente i Veneti usano un formulario non certamente cristiano.
Alla fine del IV secolo i soggiorni imperiali di Valentiniano II e di Giustina si fanno più frequenti, anche per restare lontani dalla arroganza di Ambrogio di Milano. Per tenersi estraneo a fatti giuridici o politici viene convocato in Aquileia un Concilio occidentale dagli Imperatori, ma soprattutto da Graziano, a cui gli ariani vennero con una certa fiducia.
Sul finire del secolo, era intuibile che l'integrità territoriale dell'Impero era a forte rischio, da quando cioè la pressione degli usurpatori e dei barbari si era fatta più e minacciosa. La si volle attribuire ad una punizione divina per una dilagante flessione morale. Ne parla Gerolamo nel 396. Già nel 378, poi nel 385 e 388 Ambrogio da Milano aveva segnalato l'insufficienza del vallo alpino ed aveva dato un significato religioso alle contese fra Valentiniano II, Massimo e Teodosio. Questo fatto esasperò la tensione fra i contendenti, e fra gli ortodossi e gli ariani. Lo scontro assunse un significato di battaglia fra ortodossia e arianesimo, cristianesimo e paganesimo. La corrente ariana si sentiva più vicina e culturalmente più protetta di quella ortodossa dei ceti dominanti. La Battaglia del "Pio" Teodosio contro Massimo sul fiume Frigidus (Vipacco) segnò la vittoria sul paganesimo. Da Aquileia lo stesso Teodosio emana l'editto contro i sacrifici pagani e contro l'accesso ai templi (391).
Ma nel 401 vi è l'assedio di Alarico, che si ripete nel 408. Aquileia, che tante volte fu il punto naturale di incontro per una saldatura "attiva", fu anche inevitabile luogo di scontro fra contendenti. Vi si scontrarono Valentiniano III, proveniente da Costantinopoli e Giovanni, giunto da Ravenna, nel 425. Quando Giovanni venne ucciso, fu trascinato per il circo.
La crisi di Aquileia precipitò in seguito alla devastazione di Attila che la occupò e la distrusse il 18 luglio 452. Gli aquileiesi fuggiti dovettero ricostruire un futuro attraverso la città di Grado.



ADDENDA
CESARI ed IMPERATORI ROMANI di AQUILEIA (d.C.)
DIOCLEZIANO AUGUSTO294-306  COSTANZO II° CESARE324-337
MASSIMIANO AUGUSTO Primo regno286-305  COSTANZO II° AUGUSTO337-361
MASSIMIANO AUGUSTO Secondo regno306-310  MAGNENZIO AUGUSTO350-353
COSTANZO I° CESARE293-305  DECENZIO CESARE351-353
COSTANZO I° AUGUSTO 305-306  COSTANZO GALLO CESARE351-354
GALERIO MASSIMIANO CESARE293-305  GIULIANO II° CESARE355-360
GALERIO MASSIMIANO AUGUSTO305-311  GIULIANO II° AUGUSTO360-363
SEVERO II° CESARE305-306  GIOVIANO AUGUSTO363-364
SEVERO II° AUGUSTO306-307  VALENTINIANO I° AUGUSTO364-375
MASSIMINO II° CESARE305-308  VALENTE AUGUSTO364-378
MASSIMINO II° AUGUSTO309-313  GRAZIANO AUGUSTO367-383
MASSENZIO AUGUSTO306-312  VALENTINIANO II° AUGUSTO375-392
LICINIO I° AUGUSTO308-324  TEODOSIO I° AUGUSTO379-395
LICINIO II° CESARE317-324  MAGNO MASSIMO AUGUSTO383-388
COSTANTINO I° CESARE306-307  FLAVIO VITTORE AUGUSTO387-388
COSTANTINO I° AUGUSTO307-337  EUGENIO AUGUSTO392-394
CRISPO CESARE317-326  ARCADIO AUGUSTO383-408
DELMAZIO CESARE335-337  ONORIO AUGUSTO395-423
COSTANTINO II° CESARE317-337  TEODOSIO II° AUGUSTO 402-450
COSTANTINO II° AUGUSTO337-340  GALLA PLACIDIA AUGUSTA450
COSTANTE CESARE333-337  VALENTINIANO III° AUGUSTO425-455
COSTANTE AUGUSTO337-350  




ULTIME RICERCHE
(dal Piccolo di Trieste, 8 ottobre 2001)

CONVEGNO Incontri sui Celti a Gorizia
Re Artù, un mito nato ad Aquileia

Un «filo rosso» unisce la storia di Aquileia al Galles e alle imprese del ciclo di Re Artù. La suggestiva «ipotesi» storica è stata esposta al convegno internazionale «Gli echi della terra. Presenze celtiche in Friuli», conclusosi ieri a Gorizia, da Chris A. Snyder, docente dell’Università del Maryland (Usa), e autore di svariate ricerche sul sottile ma salto legame che unisce la storia di Aquileia romana all’antichità gallese e, addirittura alla nascita del cosiddetto «Ciclo Arturiano», che si dipana intorno alle imprese di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda.
Come ha spiegato lo studioso americano a Gorizia, sono davvero numerosi - quanto fino a oggi oscuri e misteriosi - i punti di contatto che legano Aquileia a Camelot e alla storia gallese: una intricata rete che si è intessuta nel tempo sulla base delle vicissitudini storiche legate alla figura di Maximus, sottufficiale dell’imperatore Teodosio il Vecchio fra il 367 e il 373 dopo Cristo.
Nel 375 d.C. Teodosio su assassinato e nel 381 Maximus venne mandato in britannia: due anni dopo, quest’uomo «d’armi» veniva proclamato dalle sue truppe Imperatore d’Occidente. Una decisione che non poteva certo trovare consenziente il legittimo erede al trono imperiale, Graziano, figlio dell’imperatore Valentiniano, morto pochi anni prima. M il feroce Maximus lo fece assassinare e stabilì la sua corte a Treviri, dove si convertì al cattolicesimo.
A quel punto, da Aquileia, il successore di Graziano, Valentiniano II, fu costretto a riconoscere l’autorità di Maximus, che assunse il titolo di Magnus Clemens Maximus, e che ben presto consolidò il suo potere sulle terre aquileiesi, così come in Spagna e, soprattutto, in Britannia e nel Galles. Proprio in Galles le sue imprese furono particolarmente esaltate e celebrate, tanto che ancor oggi si ricorda il mito di «Maximus guletic», il bisnonno di re Artù, che cerca in Britannia la sua Elena.
Questo mito ha portato a individuare in Maximus - figura comunque controversa - il vero fondatore della nazione del Galles. La leggenda si sviluppò dopo la sconfitta del 12 agosto 388, che segnò la morte di Maximus e la cattura di suo figlio, che venne imprigionato appunto ad Aquileia. Di qui, dunque, il mito di un tiranno aquileiese avo di Re Artù, che pose le basi dell’impero e delle favolose avventure legate al ciclo della Tavola Rotonda.