Non è nota la sua data di nascita, attribuita alla seconda metà del III° sec d.C., quanto la sua bellezza.
I denti candidi e brillanti come perle, gli occhi neri e vividi, non alta ma ben proporzionata per il costante esercizio fisico, che comprendeva anche l'addestramento militare e la caccia.
Vestiva con un mantello color porpora ornato di perle e fermato con una fibbia di conchiglie. Conchiglie di sabbia, prese dalla terra di Palmira, oasi nel deserto siriano tra Antiochia e Babilonia, tappa obbligata nella via della seta.
Partecipava ai banchetti e beveva con gli uomini i forti vini orientali, ma senza mai eccedere; compariva spesso in pubblico con la corazza e le braccia nude, sottolineando così la sua forza. Forte era anche la sua voce, abituata al comando.
Non era estranea alle attività intellettuali, conosceva, oltre al siriaco, il copto e il greco e si esprimeva bene in latino, ma spesso lo evitava per timore di commettere errori. Conosceva la storia dell'Oriente e di Alessandria in particolare e si tramanda abbia scritto alcune note di argomento storico.
Il suo mentore era il filosofo greco Cassio Longino, neoplatonico.
Michelangelo. Zenobia, Regina di Palmira
Si interessava anche di problemi teologici, discutendone con Paolo di Samosata, e sembra che abbia protetto la locale comunità israelitica tanto che qualcuno ha ipotizzato una sua adesione al giudaismo, se non addirittura una sua discendenza dal popolo eletto; anche il Talmud la cita, per la protezione da lei accordata ai Rabbi.
Sosteneva di discendere dai Lagidi, i sovrani ellenistici d'Egitto, attraverso Cleopatra e Drusilla di Mauritania (da non confondere con Iulia Drusilla, sorella di Caligola) e ispirava le proprie scelte, tranne la “disponibilità”, proprio a Cleopatra.
Era detta, come sua madre, “colei che ha bei capelli”, e tale è il significato del suo nome, "al-Zabbā’", latinizzato in Zenobia.
Il nome completo, che appare in arabo nella pagina d'apertura, era "al-Zabbā’ bint ‘Amr ibn al-Ẓarib ibn Ḥassān ibn Adhīnat ibn al-Samīda‘ ", cioè "al-Zabbā’ figlia di Amr figlio di al-Ẓarib figlio di Ḥassān figlio di Adhīnat figlio di al-Samīda".
الزباء بنت عمرو بن الظرب بن حسان ابن أذينة بن السميدع
Aveva sposato Odenato, generale egiziano, Principe di Palmira, che nel 264 aveva sconfitto i persiani di Shapur I° inseguendoli fino a Ctesifonte, come alleato di Roma. Per questo fatto, sotto Gallieno, egli ricevette dal Senato Romano la dignità di Augusto. Venne ucciso due anni dopo ad Eraclea, assieme al figlio e coreggente Erode, dal cugino Meonio.
Durante il regno di Claudio II° il Gotico, nel 270 , i generali palmireni sottomisero e conquistarono l'Egitto che si era ribellato a Roma: Vabalato e Zenobia ricevettero il titolo regale in nome di Claudio.
Alla morte di Odenato, Zenobia pensò di fondare a Palmira un regno ereditario indipendente, facendo salire al trono il giovane Vabalato (Wahab-allath). Di fatto era Zenobia a esercitare il potere.
Seguendo una politica filoellenica e filocristiana, sotto l'influsso dei Ministri Cassio Longino e Paolo di Samosata, i palmireni conquistano anche la Siria e l'Asia Minore ad eccezione della Bitinia (269-270).
Poco dopo la sua acclamazione, Aureliano aveva forzatamente accettato un compromesso con Zenobia e con suo figlio Septimio Vabalato Atenodoro. Nel 270 accoglieva le richieste di Zenobia attribuendo al figlio il titolo di “Imperator” e “Dux Romanorum”, che erano stati del padre Odenato.
Quando nel 271 Vabalato si dichiarò indipendente da Roma, incominciando a battere moneta per conto proprio e Zenobia proclamò il figlio “Imperator Caesar Vabalathus Augustus”, assumendo per lei il titolo di “Augusta”, il regno di Palmira cessa di essere alleato di Roma e ne diviene nemico. Alla fine del 271, mentre il generale Probo riconquistava l'Egitto, dirigendosi poi verso l'Arabia, Aureliano interviene personalmente in Asia Minore, spazzando via le guarnigioni palmirene, dirigendosi poi su Antiochia. Qui viene affrontato in battaglia dai generali di Zenobia e dalla regina stessa che però deve ritirarsi, con gravi perdite in direzione di Emesa. Alla richiesta di resa fatta da Aureliano, Zenobia ricorda che la sua antenata Cleopatra preferì la morte alla resa.
Guerra fra Aureliano e Zenobia
Una nuova sconfitta, dovuta alla maggior manovrabilità della cavalleria romana rispetto a quella pesante dei palmireni, le lascia una sola opportunità: raggiungere Palmira e arroccarvisi.
La città è fortificatissima, dotata di armamenti difensivi sofisticati, numerose baliste e lanciafiamme, a quanto affermano alcuni storici.
Inoltre è ben provvista d'acqua (si tratta di un'oasi), mentre gli assedianti devono sopravvivere in pieno deserto.
A un'ulteriore domanda di resa Zenobia risponde ancora negativamente, confidando nell'arrivo di alleati persiani arabi e armeni. Ella stessa, per sollecitare l'arrivo degli alleati, e secondo alcuni per fuggire, esce dalla città con Vabalato attraverso un passaggio segreto e si avvia verso l'Eufrate cavalcando un dromedario, ma viene raggiunta e presa prigioniera da Aureliano.
Di fronte a tale evento gli assediati si dividono in due fazioni, l'una contraria, capeggiata da Longino, e l'altra favorevole alla resa.
Alla fine la città accettò la proposta di resa e i cittadini ebbero salva la vita.
Rovine di Palmira, Siria
Zenobia venne giudicata a Emesa, ma scaricò la responsabilità della resistenza su Cassio Longino e sugli altri dignitari contrari alla resa. La regina si salvò ma Cassio Longino e gli altri vennero giustiziati.
Mentre Aureliano e Zenobia stavano dirigendosi verso Roma, Palmira si ribellò ancora una volta, ma questa volta la repressione fu feroce, la popolazione intera, comprese le donne e i bambini, venne massacrata e la città fu distrutta.
Zenobia fu l'attrice principale del trionfo di Aureliano celebrato a Roma. La regina precedeva a piedi il cocchio trionfale che si era fatta costruire, era ornata di gioielli a tal punto che il loro peso le rendeva difficile l'incedere, era incatenata da una pesante catena d'oro retta da uno schiavo...
Busto funerario di Zenobia, British Museum
Ma la sua sorte non fu quella che Roma riservava ai re vinti, cioè lo strangolamento nel “Carcer”, tra le acclamazioni della folla. Ebbe invece, ancora una volta, salva la vità; le fu assegnata una lussuosa villa a Tivoli, non lontano da quella appartenuta ad Adriano e lì trascorse la sua vita, come una qualsiasi matrona romana.
Alcuni storici affermano che si risposò con un ignoto senatore di Roma e che ebbe altri figli.
Morì, sembra, nel 300.