È noto che i Fenici furono grandi navigatori. Con le conquiste e con i commerci trasportarono la loro cultura e la loro religione. Così è nata Cartagine fondata circa nell'814 a.C. dai Fenici di Tiro (secondo la leggenda dalla principessa Didone), con i quali questa città ebbe sempre potenti vincoli commerciali.
Qui la religione "in primis" ebbe quell' importanza che da sempre i popoli orientali hanno verso la spiritualità. Nelle loro imprese commerciali fu dunque sempre finanziato un tempio con la relativa casta sacerdotale, che custodiva il tesoro, il loro capitale.

Due furono sostanzialmente le divinità presenti, sia pure con nomi diversi, in ogni insediamento siro-palestinese: la prima era una divinità femminile con funzioni materne e di fecondità (detta "Baalat" - la Signora - o "Ashtart") e la seconda, maschile, era il dio supremo ("Ba'al" - il Signore - o Melqart).

Ba'al è il dio delle fertilità, la personificazione del Sole benefico. I nomi propri che vengono dati ai Cartaginesi aiutano a comprendere l'etimologia di questo dio: così Aderbale (Baal è potente), Annibale (Baal ha favorito), Asdrubale (Baal ha aiutato). Associata al suo culto, ma nettamente preminenete, era, come già detto, Baalat o TANIT Pne Baal (Tanit, volto di Ba'al).

Tanit nacque dal sincretismo della civiltà fenicia con quella del nord-Africa e, con l'espandersi della cultura punica. La sua divinità si diffuse largamante nel Mediterraneo occidentale, in Sardegna, in Sicilia, a Malta, a Pantelleria ed anche a Roma, dove fu chiamata Dea Celestis.

Il nome di Tanit sembra essere di origine libica, il cui culto sarebbe stato accolto dai Cartaginesi, mescolato ed adattato con elementi religiosi propri importati dalla madrepatria.
La raffigurazione di Tanit può essere studiata secondo due direttive: quella antropomorfa e quella simbolica.
La prima è formata dalle statuette che la rappresentano come una donna nuda che si stringe i seni, chiara indicazione di fertilità. Appare talvolta anche rappresentata su un trono e, in epoca romana, cavalcante un leone.
La seconda è costituita da un disegno - il simbolo di Tanit - di assai discusso significato - in cui sono combinati un triangolo equilatero, una linea orizzontale e un disco, in modo da voler quasi rappresentare, in modo rozzo, una figura umana.
Il "segno di Tanit" non rappresentava solo un'espressione artistico-religiosa: era l'invocazione della famiglia agli dei perchè ne assicurassero il benessere, la concordia, la fertilità e la fecondità.


Ma Tanit era anche il nome che i Cartaginesi attribuirono alla Luna, che veniva rappresentata come un'immagine femminile stilizzata tra gruppi di stelle, e le dava perciò un fondamento di eternità, legato alla natura celeste dell'astro. Poichè la luna è mutevole d'aspetto nelle sue fasi, pallida, luminosa, invisibile, vennero attribuiti a Tanit anche denominazioni antitetiche ed ambigue: dea dell'Amore e della Morte, Creatrice e Distruttrice, Tenera e Crudele, Protettrice ed Ingannevole.


Così verrà identificata anche dai cristiani come Lilith, la Luna nera dei Semiti, demone infernale e protettrice delle streghe, a testimonianza della persistenza del culto lunare fino al medioevo.


Il culto religioso di Tanit fu quello del "tophet", importato dal mondo fenicio. Nel tophet sembra venissero sacrificati i figli primogeniti delle famiglie nobili. I Tophet sono ampi terreni recintati, che contengono urne fittili sepolte al cui interno sono conservate ossa di fanciulli morti in tenera età, deposte singolarmente o assieme a resti di piccoli animali. Un elemento distintivo di questi santuari sono le stele di pietra, decorate con simboli sacri, erette a ricordo della cerimonia. Il tophet ed il sacrificio umano come sacra offerta è tipico della mentalità fenicia, mentre non ha riscontro in quella greco-romana.

Per i Fenici, quando appariva inevitabile che una divinità avesse di mira l'eccidio di una città, non si doveva indugiare ad offrirgli vite umane, in modo che potesse scaricare la sua ira ed il suo furore sul capo di pochi e non di tutta la comunità. Con l'idea che nessun sacrificio più di questo rallegrasse e calmasse la divinità, i Cartaginesi si votarono ai sacrifici umani donando quanto di più caro e prezioso avessero, cioè la vita dei propri figli primogeniti: volevano in tal modo che il dio Ba'al assicurasse la prosperità ed esaudisse i loro desideri e che la dea Tanit proteggesse la città garantendo la sua eternità. I fanciulli sacrificati venivano "divinizzati" creando in questo modo una comunicazione diretta con le autorità sovrannaturali.
Di solito per il rituale era sufficiente sostituire i fanciulli con una bestia viva (agnelli, uccelli, pecore), ma talvolta, per calmarsi, gli dei esigevano davvero l'offerta del sacrificio umano. Esso era tanto più terribile in quanto ai parenti delle vittime era severamente vietato esternare il proprio dolore davanti all'altare, perchè gemiti e lacrime avrebbero sminuito il valore del rito.

Diodoro Siculo, lo storico di Agira, ricorda il sacrificio di 200 bambini presi dalle più illustri famiglie di Cartagine. Si era proceduto alla sostituzione dei fanciulli delle migliori famiglie con bambini comprati o adottati da famiglie miserabili; e da qui, per redimersi dell'orrore compiuto, il governo di Cartagine decretò il sacrificio di 200 bambini appartenenti tutti alle famiglie nobili.

G. H. Hertzberga precisa il rituale del sacrificio.
Dal numero rilevante di bambini ad esso destinati al sacrificio, veniva scelta a sorte la vittima che, di norma, veniva segretamente cambiata con quella di altra gente. Il bambino, posto sulle braccia di un idolo cavo di bronzo, rotolava all' interno dove ardeva un fuoco.

Gustave Flaubert, nel suo romanzo storico "Salambò" così scrive : "I fanciulli salivano lentamente le scale. Nessuno di essi si muoveva, perchè erano legati ai polsi e alle caviglie e il velo nero che li avvolgeva impediva loro di vedere e alla folla di riconoscerli''.

James B. Frévier narra : "È notte! Alcuni suonatori di flauto e tamburo fanno un frastuono assordante. Il padre e la madre sono presenti. Consegnano il figlio al sacerdote che cammina lungo la fossa del sacrificio, sgozza il bambino in modo misterioso, poi depone la piccola vittima sulle mani protese della statua divina dalla quale essa rotola sul rogo".

Silvio Italico, nel libro IV° della sua epopea riferisce il caso del figlio di Annibale. Il governo di Cartagine decise di sacrificarlo. La moglie del condottiero, Imilce, spagnola, si oppose all'atroce decisione e ottenne dal Consiglio una sospensione del sacrificio per informare il marito; Annibale rifiutò di immolare il figlio e, al suo posto, giurò di sacrificare migliaia di nemici.

Il tophet fenicio più noto, scoperto presso Cartagine, conteneva migliaia di urne colme di ossa di bambini bruciate. Esso fu in uso dalla fondazione di Cartagine fino alla sua distruzione. All'origine i sacrifici erano dedicati a Ba'al Hammon; a partire dal V° sec. vi fu associata anche la dea Tanit. La pratica dei sacrifici umani, ampiamente criticata dai Greci e dai Romani, si estinse pian piano: in un tophet ritrovato ad Adrumeto, infatti, si è constatato che le urne dei livelli più recenti contenevano solo ossa di animali.

Ma Sabatino Moscati, noto semitista, avanza la teoria che il sacrificio dei bambini sia una pura fantasia; sostiene che il "tophet" (area sacra) sia il luogo sacro di sepoltura di bambini nati morti o deceduti subito dopo la nascita, bruciati e quindi sepolti in urne o in anfore da trasporto. Con un rito particolare, i genitori chiedevano la grazia per una nascita più fortunata.

La questione del sacrificio rimane comunque aperta, anche se il ritrovamento nei "tophet" di resti di piccoli animali (associati o meno a vittime infantili) fa ritenere credibile il terribile rituale della religione cartaginese.

Il ritrovamento dei simboli di Tanit e dei tophet dimostrano la presenza ed il dominio dei Fenici-Cartaginesi in ampie regioni del Mediterraneo ed anche oltre le colonne d'Ercole.

Il trattato tra Dionisio di Siracusa e Cartagine concluse le ostilità del 409-405/406 a.C. e sanzionò l'autorità cartaginese in Sicilia, confermando politicamente ed operativamente il ruolo di grande metropoli di Cartagine.

Per tutto il IV° secolo a.C. e la metà del III°, Selinunte rientra nel dominio di Cartagine. L'innesto della civiltà punica a Selinunte, in un ambiente greco di antica e fiorente tradizione, documenta la capacità della cultura di Cartagine d'inserirsi e di determinare una serie di varianti in facies già storicamente evolute.
Ma se modeste si presentano le case puniche selinuntine, interessanti sono i simboli religiosi che si notano nel mosaico punico, che ha un rivestimento particolare composto di malta ove sono amalgamate tre parti di arena e una di calce e di caementa, cioè frammenti di marmo bianco. I simboli religiosi che il mosaico mostra, documentano inequivocabilmente il culto di Baal e di Tanit. Il pavimento, in cocciopesto, reca il "simbolo di Tanit", con il caduceo, formato da tessere bianche in mosaico. Tanit assicura alla famiglia la concordia e la prosperità del commercio col caduceo (la bacchetta magica alle cui estremità sono posti due cerchi tangenti simboleggianti due serpenti che si intrecciano alla verga).
Sul medesimo pavimento si osserva una testa di toro incoronata, simboleggiante la ricchezza e il benessere. Al centro del pavimento c'è il "segno di Tanit".
L'interpretazione del motivo geometrico, che da ultimo è stata avanzata, conduce alla schematizzazione della figura femminile frontale, stilizzata, con il corpo a forma di trapezio, le braccia alzate e la testa. Il significato simbolico nasce dall'unione della schematizzazione della figura femminile (il triangolo della fertilità) con i betili (pietre rituali di forma conica verticali) simbolo della presenza divina ("bt'l", casa di Dio) e il disco solare, simbolo del ciclo vegetativo della rinascita primaverile che assicura il buon ordine delle stagioni.
Ma il "segno di Tanit" non è soltanto espressione della più compiuta manifestazione artistico-religiosa: promana da esso "un umile messaggio umano, l'invocazione alle deità per assicurare alla famiglia la concordia, il benessere, la fecondità." (v. biblio Centrocomp.it),
Anche sul pavimento di un altro ambiente si possono notare i simboli religiosi punici raffiguranti il predetto "segno di Tanit", affiancato da due caducei.

Erice, vicino a Trapani, fu popolata dagli Elimi che vi eressero il tempio dedicato al culto della dea della fecondità e dell'amore. I successivi dominatori intitolarono il tempio alle loro divinità, così i Fenici, vi adorarono Tanit-Astarte, i Greci Afrodite, i Romani la Venere Ericina.
Sulle rovine del Tempio sorge ancora oggi il Castello di Venere, fortificato durante la dominazione normanna, adiacente ai giardini del Balio dominati dalle torri.

In Sardegna, a Nora, risalendo un piccolo colle sulla destra del paese, arriviamo a quello che era considerato il “tempio di Tanit”. Il complesso, quadrato, è andato quasi completamente distrutto. È costruito con pietre di diversa misura e alcuni blocchi, quasi squadrati, sicuramente d’epoca nuragica come lo sono anche alcuni cocci riutilizzati per la realizzazione dei muri a secco nei dintorni. In origine questo edificio doveva essere composto da diversi ambienti, l’archeologo che si occupò degli scavi aveva identificato anche un altare e una cisterna dell’acqua. Il tempio, inizialmente era stato attribuito alla dea Tanit perchè, durante gli scavi, fu scoperta una pietra di forma piramidale che si presupponeva essere il simbolo di Tanit rappresentata in antichità da un triangolo sormontato da un cerchio. Quindi il complesso doveva essere stato costruito prima dai punici e successivamente riutilizzato dai romani che impiegarono parte dei suoi materiali per altre strutture.
Gli ultimi studi eseguiti portano a considerare la costruzione come i resti della fortificazione punica della città. Dal colle di Tanit è possibile osservare il panorama della città e la conformazione del promontorio sul quale è stata costruita.

Ancora in Sardegna è famoso il tophet di Monte Sirai, nei pressi di Carbonia. Qui venivano praticati sacrifici sia cruenti che incruenti. Sembra venisse praticato il culto per Astarte, ma in una tomba è stato rinvenuto il simbolo di Tanit rovesciato.

Ad Ibiza (Baleari) la dea Tanit cambiò il nome in Astarte quando i Cartaginesi occuparono l'isola 2600 anni fa. Perchè? Questo rappresenta un enigma. Come dea lunare, lei è una madre, simbolo dell'amore e della fecondazione. Il più famoso santuario a lei dedicato è quello di Es Curaim. Esso era occupato da sacerdoti e sacerdotesse che officiavano sacrifici in suo onore, mentre i serventi praticavano la "sacra prostituzione" per il loro beneficio.

Anche in Cornovaglia e nella zona occidentale dell'Inghilterra sono stati trovati i simboli di Tanit lunare dove venivano celebrati riti con falò e feste pagane. È persino possibile che il grande festival celtico di Beltane il primo di maggio, derivi dal nome delle due divinità , Baal e Tanit.

Curiosa è la leggenda dell'Isola di Pantelleria, estrema propaggine dell'Italia nel Mediterraneo che si protende verso l'Africa, relativa allo squisito vino che ivi si trova.
Su questo vino si racconta la leggenda della dea Tanit, che, invaghitasi di Apollo, voleva attirarne l'attenzione. Per raggiungere lo scopo chiese il parere di Venere, che le consigliò di salire sull'Olimpo e di fingersi coppiera. Tanit seguì il consiglio, e sostituì all'ambrosia, bevanda abituale degli dei, il mosto delle vigne di Pantelleria. Il trucco riuscì, ed Apollo non solo notò Tanit, ma se ne innamorò. Da allora Pantelleria può farsi vanto di dar vita al vino che fu capace di sostituire l'ambrosia degli dei.


La venerazione di Tanit sopravvisse alla distruzione di Cartagine, acquistò grande popolarità anche in Numidia ed in Mauretania e non soltanto in Africa, ma anche in Occidente, a Roma ed al suo esercito.
Sembra che la deità fu importata a Roma da Scipione l'Africano Minore, ma questa potrebbe essere una leggenda in quanto non sono stati trovati indizi di culto romano di Caelestis, come fu chiamata, prima di Settimio Severo, africano di nascita.
Un tempio di questa dea sorse a Roma (non prima di Caracalla) su un fianco del Campidoglio, vicino all'antico e venerato santuario di Giunone Moneta. A ciò si deve senz'altro l'accoglimento del culto della dea fra i "sacra urbana" e quindi l'assimilazione della divinità poliade dei Cartaginesi con Giunone, invocata quindi con l'epiteto di Caelestis.
Ma delle forme di culto della "Caelestis Dea" a Roma, ci sono solo scarse notizie. Pare, sempre a Roma, che il corrispondente maschile oltre che Ba'al, fosse Eschmun, generalmente identificato con Esculapio, dio patrono della medicina.


Il rito di Tanit, si rinnovò anche dopo la distruzione di Cartagine nella città che prese il posto di quella antica. Qui vi furono celebrati riti fastosi ed anche licenziosi, e si mantenne tenacemente fino all'invasione dei Vandali, quando ne fu distrutto il tempio nel V° sec. d.C.



Il 16 maggio 2005 il Sig. Paul Rizzo ha voluto fare questa precisazione che riportiamo integralmente:
"I do have a problem with the part about Carthage sacrificing young children. According to specialists, there is an error of interpretation. They now beleive that small children, who died from illnesses, were cremated in a special ceremony, and NOT sacrificed.... Check here http://phoenicia.org/childsacrifice.html"

Many thanks to Mr. Rizzo for this interesting clarification.



Il 20 dicembre 2005 il Prof. Antonio Moretti, Docente in Scienze Ambientali dell'Università dell'Aquila, ha cortesemente voluto renderci partecipi di alcuni ritrovamenti. "Omissis ...Quasi ogni anno andiamo in Tunisia con gli studenti, in particolare per studiare gli ambienti desertici e l'utilizzo delle risorse idriche. Lo scorso anno, per pura combinazione, abbiamo trovato un sito preistorico megalitico completamente sconosciuto. La scoperta ha avuto una certa risonanza ed è stata pubblicata in via preliminare su Archeologia Viva. Abbiamo rilevato un insediamento abitativo neolitico (probabilmente piuttosto recente, visto che in questa parte dell'Africa l'età del Bronzo è stimata intorno al 2000 a.C.), un'area funeraria sepolcrale megalitica (oltre 30 dolmen con massi tra le 5 e le 20 tonnellate) completa di vasche sacrificali, un'area sacra dedicata alla vinificazione rituale completa di torchi in pietra e vasche di spremitura-fermentazione ed una seconda area sacrale dedicata all'osservazione astronomica (tipo stonehenge..) con numerosi puntatori in pietra rivolti verso le principali direzioni astronomiche (equinozio, solstizio ecc.). Tutto questo potrebbe interessare la mitologia di Tanit.
Durante i rilevamenti sull' "osservatorio astronomico" abbiamo notato che i punti di mira erano incavati nelle pietre di riferimento in modo tale che in esse potesse essere inserito un "puntatore" verosimilmente in legno. Ogni linea di mira è formata da una coppia di "puntatori" che individuano la corretta traiettoria. Ogni coppia è formata da un "puntatore" fisso formato da un incastro a coda di rondine e da un puntatore mobile in cui veniva inserito un asse verticale che, fatto scorrere, forniva l'angolo zenitale del corpo osservato. Ho cercato di ricostruire come potevano essere formati i "puntatori". Una zeppa triangolare più larga alla base sormontato da un cerchio bucato per il puntatore fisso, un bastone sormontato da un anello per quello zenitale, su cui veniva fatto scorrere una seconda mira mobile per la misura degli angoli. Il segno di Tanit !!
Tutto questo fa parte dell'analisi dei dati e sarà presentata a breve alla stampa ed alla comunità scientifica.

L'Autore ringrazia il Prof. Moretti per questa importante comunicazione.




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