La Numismatica Classica è l’unica fonte, visiva e muta, che ci consente di conoscere la reale esistenza del passato, altrimenti del tutto ignota. Fra i numerosi enigmi che essa ci presenta, non trascurabile è quella del Silphium, misteriosa ed enigmatica pianta della antica Cyrenaica dotata, a detta degli Autori di età greco-romana, di portentose proprietà officinali e …….gastronomiche.
Il Silphium (dal greco "silfion" e dal latino appunto "silphium") era una pianta, probabilmente un’ Ombrellifera o Apiacea, originaria della Cirenaica, ove cresceva, a quanto pare, in modo pressochè esclusivo e spontaneo negli aridi terreni stepposi ed incolti del plateau costiero ed all’interno, verso il deserto, come si apprende da Teofrasto (Hist. Plant. VI,3), che ne parla diffusamente e la descrive abbastanza bene e da Plinio il Vecchio (Nat. Hist, V,5). L’unica pianta oggi esistente che gli assomigli vagamente nell’aspetto è la Ferula communis.
Rappresentazione di possibili tipi di Silphium
da un Catalogo monetario del British Museum di Londra del 1927
I Romani la chiamavano
Laserpitium, e
Laser o
Lacrima Cyrenaica il succo resinoso che se ne estraeva dalle radici ed in parte dal fusto. Questo succo era poi preparato con un impasto di farina per la conservazione e l’esportazione. I Greci lo chiamavano “
” ovvero il succo “per eccellenza”. I tempi ed i metodi per le incisioni e la quantità di succo che si poteva estrarre dalla pianta senza farla morire, erano fissati e regolati per legge.
Questo magico succo fu la maggiore fonte di ricchezza economica della
Cirenaica e della sua principale città
Kyrene, essendo prezioso quanto l'oro ed abitualmente scambiato con tale metallo e con l’argento.
Presso il santuario di Apollo a Delfi, vi era una intera pianta di
silphium inviata dal popolo Libico quale dono sacro al dio in segno di riconoscenza per aver concesso loro in sorte una tale fortuna.
Plinio definì il
silphium "tra i doni più grandi offerti della natura" e ne parla ampiamente in termini entusiastici
(Nat. Hist. XIX, 3); a sua volta Teofrasto
(Hist. Plant, VI, 3, 1) lo chiama “
" cioè
“indigeno della Cirenaica “ e la Cirenaica stessa veniva definita dagli autori antichi “
” o
“Laserpicifera”, cioè “ apportatrice di
Silphium “ (Catullo, Liber, VII , 4).
La sua importanza era tale che, sempre secondo Plinio
(Nat. Hist. XIX,3), ai rifornimenti provvedeva a Roma non di rado lo Stato, addirittura anche a spese dell'Erario, come fu con Cesare, che una volta ne fece importare 1.500 libbre e…poi ne tolse 111 all’Erario stesso, insieme con oro e argento, per far fronte alle spese della guerra civile : un antico vizio italico….. quello di stornare denaro pubblico per usi privati ... !!
Ma all'epoca di Nerone la pianta era già diventata estremamente rara e qualche tempo dopo si estinse.
Pare si trovò una sola radice da mandare in dono allo stesso Imperatore Nerone
(Plinio, Nat.Hist., XXII, 23).
E’ certo comunque che il
Silphium in Cirenaica nel V sec. d.C., ai tempi del vescovo Sinesio, non esistesse davvero più.
Le cause principali della sua totale e repentina scomparsa sembrano, a parte il sicuro sfruttamento intensivo che se ne fece soprattutto nel periodo compreso tra l’epoca di Cesare e quella di Nerone
(I sec.a.C. - I sec. d.C), a detta degli antichi essere state molteplici : secondo Plinio
(Nat. Hist. XIX, 3 e XXII, 48) molto incise la distruzione ad opera del bestiame pascolante, che ne era oltremodo avido e che veniva lasciato pascolare per avarizia dai pastori romani, fittavoli dell’agro pubblico; per Strabone
(Geografia, XVII) un ruolo decisivo l’ebbero anche i popoli barbari dell’interno, che distruggevano volontariamente le piante per indebolire l’economia delle città costiere; Solino
(Polyhstor, XXVII, 49)
in aggiunta a ciò, dice che furono gli abitanti stessi che contribuirono all’estinzione, estirpando le piante per liberarsi dall’enorme peso delle imposte da cui erano gravati. La pianta, inoltre, era totalmente refrattaria sia alla coltivazione che allo spostamento delle colture in altro luogo, malgrado i numerosi tentativi.
Quello che ancora oggi lascia stupefatti è che di questa sorta di…. Araba Fenice che è il
Silphium non siano mai state ritrovate tracce, neppure fossilizzate, nel terreno, negli abitati, nelle necropoli. Nessuna evidenza paleobiologica. Niente di niente.
Alcuni viaggiatori del XIX sec. come Della Cella ed i fratelli Beechey, credettero di riconoscere l’antico
silphium in una pianta che cresceva in grande quantità in Cirenaica e chiamata dagli Arabi
“derias” o
“drias”, dopo aver osservato che i cammelli del luogo rifuggivano tale pianta mentre i cammelli che provanivano da altre regioni, dopo averla mangiata, morivano quasi tutti. Il presunto riconoscimento era dovuto ad un' errata interpretazione di un passo di Plinio. Egli affermava non solo il bestiame ne era ghiotto, ma anche che la pianta, oltre ad un leggero e benefico effetto purgativo, faceva soprattutto ingrassare gli stessi animali, li rendeva floridi e migliorava le loro carni:
“Vesci pecora solita, primoque purgari, mox pinguescere, carmnem mirabilem in modo jucunda” (Nat. Hist. XIX, 3). In certi sporadici ed isolati casi, però,
il silphium poteva anche uccidere animali probabilmente già defedati:
“Alii prodidere….nec purgari pecora, sed agra sanari, aut protinus mori, quod in paucis accidere “.
Ne deriva che l’unico effetto che la
drias degli Arabi aveva in comune con l’antico
silphium era solo un ……molto più accentuato effetto lassativo e venefico, ma non ne possedeva di certo i famosi effetti benefici ed ingrassanti.
Tentativi più concreti e sistematici di ritrovare la pianta furono fatti dal Ministero Italiano delle Colonie negli anni ’10 e ’20 del secolo scorso, con ricerche da parte di botanici e naturalisti anche in direzione delle zone interne più della Cirenaica, ma senza esito alcuno.
Un particolare curioso : durante il periodo coloniale, il
silphium divenne il simbolo araldico dello stemma dei Carristi della Cirenaica, del Regio Esercito Italiano.
Il mito della pianta deve avuto anche un' origine religiosa in connessione con il culto di Aristeo, ricordato anche come ecista a Cirene, dove gli veniva ascritta la stessa coltura del
silphium: cf.
Schol. in Aristoph. Eq 894.
Si ritiene, infine, che su una coppa ritrovata a Vulci, sia rappresentata la pesatura del
silphium in presenza di re Arcesilao II di Cirene (metà del VI sec. a.C.).
Le applicazioni officinali del
Silphium o
Laser erano praticamente infinite nell’antichità e di enorme importanza, e ne parlano Plinio, Ippocrate, Catone il Vecchio, Strabone e Columella e diversi altri Autori antichi: dalla digestione difficile ai disturbi circolatori ed a quelli femminili; per il mal di gola, l'ernia, l'idropisia, l'itterizia, l'epilessia, la pleurite; contro il veleno dei serpenti e degli scorpioni; per far maturare gli ascessi e rimarginare piaghe e ferite; per agevolare l'estirpazione dei calli, come starnutatorio e così via. Insomma, una panacea a tutto tondo.
I Romani, grandi buongustai e amanti della buona tavola, ne apprezzavano anche (e forse soprattutto) gli usi culinari, come apprendiamo da Apicio nel suo
"De Re Coquinaria": il
"laseratum" (la salsa di
laser) con pepe e pinoli, temibile concorrente dell’altrettanto famosa salsa piccante
“garum” a base di pesce macerato ; l'antipasto di zucche al
laser; la minestra di castagne al
laser; oppure lo stesso
laser usato come componente principale del sugo d'orzo e di spelta, del
pollo Numidico (una vera specialità), o del normale pollo lesso in salsa cruda o anche della apprezzatissima lepre ripiena, una sublime leccornia.
Un capolavoro pare fossero i ghiri, di cui i Romani erano ghiottissimi, riempiti con salsicce di maiale,
laser e
garum. Sarà stata una vera prelibatezza…, ma è lecito nutrire qualche dubbio sul fatto che oggi la gusterebbero in molti... !!
Infine, quando non si aveva del
laser a disposizione, un ottimo e degno sostituto erano dei pinoli precedentemente aromatizzati con lo stesso… un pò come si fa oggi con il pregiato tartufo di Alba !
Coloro che non potevano permettersi il costo stratosferico dell’originale
silphium cirenaico, utilizzavano il
siphium cosiddetto
“asiatico”, una varietà che cresceva in Persia, nella Media ed in Siria (forse l’attuale
Ferula Asa Foetida, da cui si estae l’asafetida una sorta di droga detta anche
“stercum diaboli”), ma dal gusto più amaro e dall’odore quasi intollerabile; nulla di paragonabile al vero
Silphium Cirenaico, dal gusto intenso, deciso ma nel contempo dolce, delicato e gradevolissimo, come raccontano Dioscòride
(Mat. Med. II, 84), Teofrasto
(De Causis Plantarum, VI, 12, 8), e Plinio
(Nat. Hist. XIX, 3).
Si usò pure il
Laserpitium gummiferum, altra ombrellifera che cresceva nella Francia meridionale ed in Spagna, ma non in Cirenaica.
In definitiva, negli ultimi due secoli diversi botanici hanno ritenuto di poter identificare il
silphium in una delle varie specie ancor oggi esistenti dei generi
Thapsia, Ferula e Laserpitium, tutti appartenenti alle Ombrellifere : si è ipotizzato della
“Thapsia garganica”, diffusa nelle coste africane e nel Mediterraneo;
della
“Thapsia silpihum”; della
“Ferula lingitana“ diffusa anch’essa in Africa; del
“ Laserpitium siler “, che cresce tra le montagne del sud Europa e ben nota in farmacopea; ed anche della
“Ferula Asa Foetida” e del
"Laserpitium gummiferum”.
Nessuna di queste però ha retto alla prova dei fatti e delle evidenze, per tre principali ragioni: la prima è che le loro proprietà non hanno nulla a che fare con quelle particolari dell’antico
silphium, tanto decantate dagli Autori della classicità; la seconda è che tutte differiscono notevolmente nell’aspetto fisico e nella morfologia rispetto a quello che doveva avere il
silphium, fedelmente e ben raffigurato nelle monete; la terza, e forse più probante, è l’aspetto dei frutti. La forma del frutto, infatti, è l’elemento principale che consente di distinguere le diverse specie di Ombrellifere.
Orbene, nessuna delle piante di cui sopra possiede un frutto dall’aspetto simile a quello che aveva il frutto del
silphium, che dalle monete appare chiaramente cordiforme, che si avvicina cioè molto a quella di un cuore.
Il
silphium rimane pertanto un vero enigma nella storia della botanica, ma come si pensò che la pianta del papiro fosse ormai estinta ed invece venne successivamente ritrovata, così c'è tutt'ora la speranza che con il
Silphium avvenga la stessa cosa.