STORIA


Inquadrabili nel periodo storico tra il 550 e il 380 a.C., le navi remiere dell’isola di Samo [1] furono descritte con enfasi da Plutarco, che ne magnificava le qualità marine, la velocità, la possibilità di imbarcare un buon quantitativo di merci e/o passeggeri, in genere gruppi di guerrieri.[2]
Erano galee dall’idrodinamica morbida, insolitamente larghe pur essendo prive di scalmiera sporgente [3], imbarcazioni capaci di affrontare lunghe tratte in mare aperto. Grosse biremi pontate da 100 vogatori e lunghe oltre 39 metri con immersione di uno, è possibile si siano trasformate nei primi tipi di triremi.
Si distinguevano subito dalla altre a causa della forma della prua “a testa di cinghiale”, evidenziata nella numismatica dell’isola, che la esportò nella monetazione di Messinion / Zancle [4], attorno al 490 a.C., colonia ed alleata di Samo. La raffigurazione evidenzia alcune inusuali caratteristiche tecniche, frutto di applicazioni costruttive locali su una possibile base fenicia, incluso il prevedibile passaggio alla voga trireme.

F. Piacenza: Map of Samos, copper engraving, 1688

Più che sul frammento del bassorilievo “Lenormant”, in origine collocato nell’Acropoli di Atene e datato attorno al 410 a.C., in cui alcuni studiosi rinascimentali hanno riconosciuto delle forme similari, l’unica testimonianza è la stele funeraria di Demokleides (sempre ad Atene 380 a.C.), dove si rileva il caratteristico profilo convesso della prua tra il proembolon [rostro alto] ed il sottile ed elegante acrostolio al di sopra.

Samaina ( trireme )

Nonostante la grande originalità, questa tipologia costruttiva è stata ben poco indagata dagli studiosi di arte navale antica: fatto invero imbarazzante se si pensa alle ipotesi, che possono essere stimolate dalla sua osservazione, da quella apparentemente negativa sulla robustezza d’insieme di una tale struttura e relativa complessità di costruzione ai vantaggi più o meno importanti, che ne derivavano.
Nel potenziato modello attico di trireme, protagonista a Capo Artemisio e nelle decisive vittorie di Salamina e Micale (a due passi da Samo), tutto era studiato per assicurare la massima efficacia al rostro con scafi leggeri ed affinati soprattutto a prua, ponte di combattimento incompleto e ridotto numero di combattenti imbarcati, gli epibates. Il rostro, pur con un benefico effetto idrodinamico, assieme alla disposizione quasi claustrofoba del corpo di voga, poneva seri limiti alla navigazione con mare grosso, aspetto forse secondario nella strategia ateniese, ma che diventava vitale per marinerie militari, sin da principio obbligate ad un raggio d’azione più ampio.

Ipotesi di voga trireme sulla Samaina (M. Giacomazzo)

Sia i Fenici che le poleis sul continente asiatico e delle isole limitrofe dovettero insomma studiare compromessi nautici differenti: sappiamo ad esempio che le loro galee erano interamente pontate, prive o con una posticcia appena sporgente, imbarcazioni meno prestanti, ma in grado di affrontare una navigazione più impegnativa. Osservando i lavori deduttivi di insigni studiosi come il Morrison ed il Coates, artefici dell’Olympias a grandezza naturale, si intuiscono delle scuole cantieristiche con sistemi di voga ben diversificati, al punto da supporre che i Fenici (e quindi perché no a Samo) tenevano i vogatori completamente all’interno dello scafo, con remi di lunghezza variabile proprio in quest’ottica. Lo scafo poteva risultare più largo, anche per dar stabilità al notevole numero di guerrieri imbarcati: in una situazione del genere, prue come quella classica avrebbero assicurato minori garanzie di tenuta al mare.
Una prua più “gonfia” nella parte alta poteva rivelarsi più efficace? Non è da scartare a priori l’ipotesi che si trattasse di un cambiamento che implicava una diversa stabilità dello scafo relegando l’acrostolio ad elemento puramente decorativo. Pur non uscendo dal campo delle pure ipotesi, più che ispirarsi al cinghiale, ritengo che l’intuizione abbia preso il via dalla forma del più comune cetaceo mediterraneo, il delfino. Possibile che, per imitarne le felici qualità natatorie, gli antichi mastri d’ascia si siano ispirati al suo elegante corpo fosse anche con un pizzico di religioso rispetto.
La cuffia terminale di bronzo prese poi la forma del più aggressivo cinghiale, un rostro a tutti gli effetti più efficace di quello a punteruolo, caratteristico delle prime galee, che usarono la tattica dello speronamento. Vero è che la velocità inferiore per effetto del maggior dislocamento e della corrispettiva larghezza influiva negativamente in acque ristrette, ma in mare aperto era tutta un’altra faccenda e questo ci permette di supporre che, durante le Guerre Persiane, più che sul contenimento della superiorità numerica i Greci ricercassero appositamente un ambiente più favorevole alle loro leggere triremi.

Triera ateniese alla battaglia di Salamina (480 a.C.)

Differentemente dal Basch, che riprende gli studi del Rodges di quasi un secolo fa, la mia proposta è per una disposizione dei vogatori scalati in modo che sui 2 ordini superiori si potessero vogare remi di uguale lunghezza, 9 cubiti dorici [5] pari a circa 4,30 m., ma con un fulcro prossimo al 30% della lunghezza totale e con un angolo di inserimento in acqua abbastanza confortevole. In questa configurazione i talamiti nell’ordine più basso e probabilmente rematori meno robusti, lavoravano su remi più corti forse da 7,5 cubiti (3,60 m.). Con un’immersione attorno al metro e una larghezza di 5 o poco più, il ponte si innalzava a circa 2,20 m, protetto a prua dall’elegante frangiflutti sovrastante la testa di cinghiale.
Questo aspetto era essenziale per evitare che, infilandosi nell’onda, lo scafo tendesse ad appruarsi imbarcando acqua; d’altra parte la testa di cinghiale (una prua quasi tondeggiante come il capo dei delfini e di altri cetacei, a cui si era già ispirata la cantieristica cretese e tardo-micenea) offriva come già detto una successiva minor resistenza dell’acqua all’avanzamento, mantenendo un discreta stabilità laterale.
Forse il canto del cigno di questo tipo di galee si verificò proprio a Salamina, per fare spazio a un combattimento estremamente mobile e in acque chiuse, nel quale le triere greche potevano sviluppare la massima potenza offensiva.

Profilo di Samaina (M.Giacomazzo)

Note:
[1] Data la vicinanza alla costa siriana, le costruzioni locali erano profondamente influenzate dalla cantieristica fenicia.
[2] In greco antico la fanteria imbarcata prendeva il nome di “epibates”: per operazioni fuori del territorio metropolitano, venivano spesso trasportati grossi nuclei di combattenti dell’esercito “oplites”, poi sbarcati in zona di guerra. Come tendenza dell’areale fenicio il numero di soldati facenti parte dell’equipaggio era di gran lunga superiore rispetto agli standard ellenici.
[3]La posticcia, introdotta con importanti varianti da Fenici e Greci nel VII° secolo, aveva lo scopo di portare in fuori il fulcro del remo allungando il braccio di leva a vantaggio di una vogata più lunga e regolare, ovviamente di superiore efficacia.
[4] L’insediamento di Zancle era distinto da Messina (Messenion o Messana) e occupava la penisola paludosa di terra falciforme, che delimitava la baia. Secondo il notevole studio di Maria Caccamo Caltabiano, fu in questo conteso che si sviluppò la cosiddetta “Marineria degli Stretti”, che istituì un periodo di controllo e benessere economico tra Messina e Reggio, in grado probabilmente con il beneplacito di Samo, di organizzare un produttivo dominio, probabilmente proprio sfruttando quelle navi così curiose di cui si è qui parlato.
[5] il cubito dorico corrisponde a 19 pollici inglesi moderni e quindi a circa 48,1 cm.





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