Quando l’indagine storica si addentra in periodi e personaggi distanti nel tempo nel tentativo di far luce sugli eventi che hanno trasformato quei mondi, spesso ci s’imbatte in una tale profusione di notizie, da ritenere superfluo ogni ulteriore contributo.
Basta però la più superficiale delle analisi per intuire che da quei dati, sia pur descrittivi d’una realtà, ci ritornano immagini e sensazioni insoddisfacenti. Non si tratta, insomma, di stabilire l’esatta statura di Matilde o l’assoluta aderenza al vero delle sue raffigurazioni: ben più significativo è tratteggiare l’epoca in cui visse, il modo di vivere e ragionare che la contraddistinse.

    Mathilde von Tuszien nacque a Mantova nel 1046, prima figlia femmina della famiglia dei Canossa, marchesi di Tuscia, di origine e madrelingua longobarda.
Etimologicamente il suo nome deriva dal gaelico “Matheld”, modificatosi nel deutisch (antica parlata germanica: macht = forza; hild = battaglia), scelta invero curiosa per una bambina, fra l’altro terzogenita, in un periodo dove le regole feudali tendevano a privilegiare solo il primo erede maschile.

Il padre Bonifacio, detto "il Tiranno", era discendente diretto di Adalberto Atto, fondatore della casata degli Attoni. La madre, Beatrice di Lotaringia, apparteneva alla stirpe imperiale, imparentata con i duchi di Svevia, quelli di Borgogna, gli imperatori Enrico III ed Enrico IV, dei quali Matilde era rispettivamente nipote e cugina di primo grado. Vi era inoltre una certa parentela con l’allora papa Leone IX.




Assassinato il padre nel 1052 durante una battuta di caccia, ella divenne nipote acquisita del futuro papa Stefano IX, il cui fratello, Goffredo di Lotaringia “il Barbuto”, aveva sposato sua madre Beatrice. Costei aveva perduto entrambi i figli maschi nel 1053 in circostanze piuttosto dubbie, poco dopo aver ottenuto la protezione di Enrico III: si può ipotizzare che l’imperatore non sia stato del tutto estraneo al triste episodio, nè disinteressato. Matilde e Beatrice furono infatti tradotte in Germania, quasi in ostaggio a garanzia degli intrecci politici, che trovavano la loro potente dinastia particolarmente esposta.

Furono anni critici: in sequenza morirono papa Leone IX e l’imperatore Enrico III di Sassonia, vi fu l’elezione di papa Vittore II nel 1054, il ritorno in Italia e conseguente matrimonio per Beatrice, la morte di Vittore II nel 1057, a cui successe Stefano IX. Meteore dei tempi, di questi personaggi ecclesiastici dall’effimera durata in carica. Anche Stefano IX morì in breve, sostituito da Benedetto X, a sua volta deceduto nel 1061. Si può sostenere che il loro denominatore comune fosse la residenza in quel di Canossa, con tutte le implicazioni dell’influenza del marchesato di Tuscia sulle loro elezioni.


Quando Goffredo “il Gobbo” cercò di colmare il vuoto di potere dovuto alla morte di Enrico III, facendosi incoronare dal papa in Germania, il suo progetto fallì per la contemporanea elezione del nuovo pontefice Alessandro II. Ciò nonostante il tentativo d’imporre un uomo di suo gradimento quale il vescovo di Parma, che assunse il nome di Onorio II.
È in questo momento che il papato decise d’introdurre un meccanismo di elezione interna, il conclave dei cardinali, tuttora in vigore. Fu pure organizzato a Mantova un concilio per redimere la questione, ma Onorio II preferì evitare il confronto, legittimando la posizione del rivale. La cosiddetta “lotta delle investiture” per il potere ecclesiastico a fianco o contrario alla volontà imperiale stava per accendersi.

Coniugare la sacralità al mondo umano è uno tra i percorsi più complicati, soprattutto quando ci si addentri nel Medioevo, un ambiente a noi quasi del tutto sconosciuto. Matilde visse in un interludio storico, nel quale secolarità e religione si scontrarono per una preminenza assoluta. Era il leader del Sacro Romano Impero a valere di più, paritariamente oppure abbisognoso della clemenza del papa a detenere l’assoluto potere in Occidente?
Al contrario, quanta credibilità (oggi diremmo consenso) possedeva un pontefice, per quanto ideologicamente puro, nel far valere le proprie credenziali? Matilde si trovò a scegliere tra questi due orientamenti. In sostanza quale ruolo e potere decisionale era nelle mani e nel cuore d’una donna?

L’inquietante interrogativo può essere sviluppato partendo da chi "LEI" era.



Di nobili origini, erede di sostanziose fortune, persona di carattere, determinata a costruirsi uno spazio proprio, quando la parte femminile del cielo non possedeva neppure un’anima, in quanto la donna era ritenuta colpevole quasi assoluta della perdita del Paradiso terrestre, Matilde rifiutava queste banali volgarità. Un probabile livello culturale inaccessibile alla moltitudine delle donne dell’epoca (conosceva tra l’altro sia il deutisch che la lingua franca) la spinse ad una ricerca intensa del proprio spazio.

Ad un certo punto divenne pure confidente di papa Gregorio VII, al quale per varie vicissitudini legò i suoi sentimenti ma, anche in questo caso, dobbiamo stare molto attenti a sbilanciarci in giudizi negativi o scandalistici. Allora era normale che chierici, pur d’altissimo rango, fruissero di spazi emozionali privati, senza che ci fosse nulla di strano o peccaminoso.
Si potrebbe citare come esempio l’esecuzione come strega sul rogo di una fanciulla, che aveva rifiutato di concedere le proprie grazie a un prelato della prima Inquisizione, non distante quindi da quanto stiamo descrivendo.

Abbastanza comprensibile che, nel caso di Matilde, le cose abbiano seguito percorsi ben diversi. Lasciamo quindi la giovane Tuszien ai suoi pensieri umani, per inoltrarci nel suo ruolo politico, per il quale è certo più conosciuta.

«Matilde, splendente fiaccola che arde in cuore pio. Aumentò in numero armi, volontà e vassalli, profuse il proprio principesco tesoro, causò e condusse battaglie. Se dovessi citare ad una ad una le opere compiute da questa nobile signora, i miei versi aumenterebbero a tal punto da divenire innumerevoli come le stelle.» (dal suo agiografo Donizone).

Ormai 23enne matura, nel 1069 Matilde convolò a nozze con Goffredo “il Gobbo”. Si dovette quindi spostare ad Orval in Belgio, dove partorì una bambina, Beatrice, morta pochi giorni dopo. Accusata di portare il malocchio, più che altro per non aver dato un figlio vivo e maschio al casato, ritornò a Canossa. Invano, Goffredo cercò di convincerla alla riconciliazione, ma Matilde rifiutò ogni proposta, dimostrando l’inusitata fermezza che la renderà famosa.
La stessa morte di Goffredo nel 1076 a causa di un attentato, nella cui ideazione Matilde appare tutt’altro che estranea, e la freddezza con cui fu liquidata la questione, confermano l’avvenuto salto di campo della protagonista.

In questo contesto storico andava inserendosi dal 1073 il personaggio chiave di Ildebrando di Soana, papa Gregorio VII, contrapposto al nuovo imperatore Enrico IV. Quando costui si rivolse alla riorganizzazione dei possedimenti in Italia, si aprì un vero e proprio scontro di potere, culminato nella scomunica del 1076. Enrico, oltre al divieto di poter partecipare ai riti religiosi, andò incontro all’ostracismo politico, non essendo più vincolati i suoi sudditi al vassallaggio, spiacevolissima situazione simile al ritiro della fiducia all’interno di un moderno Parlamento.


Matilde si ritenne libera di agire secondo la sua completa volontà e si schierò con decisione al fianco di Gregorio VII, nonostante l'imperatore fosse suo secondo cugino. La scomunica indusse Enrico IV a venire a patti col papa. L'imperatore scese in Italia per parlare personalmente col pontefice; Gregorio VII lo ricevette nel gennaio 1077 mentre era ospite di Matilde nel castello di Canossa. In quell'occasione l'imperatore, per ottenere la revoca della scomunica, fu costretto ad attendere davanti al portale d'ingresso del castello per tre giorni e tre notti inginocchiato col capo cosparso di cenere. Il faccia a faccia si risolse con un compromesso: Gregorio revocò la scomunica a Enrico, ma non la dichiarazione di decadenza dal trono.



Il seguito della vicenda è sconcertante: ormai in piena rottura con la politica imperiale, Matilde donò al papa le sue terre nel 1079. Un oltraggio pericoloso visti i diritti che il sovrano vantava su di esse, sia come signore feudale, sia come parente prossimo.

La ritorsione non si fece attendere: l’anno successivo Enrico IV convocò a Bressanone un concilio, ottenendo la deposizione del papa. Forte della rinvigorita credibilità, intraprese nel 1081 una nuova spedizione in Italia per riaffermare la propria signoria. Uno dei primi atti fu il decreto di deposizione di Matilde, che fu bandita dall'impero, ma la Grancontessa non se ne diede per vinta e, mentre Gregorio VII era costretto all'esilio, Matilde sfruttò la rete di castelli, rocche e borghi fortificati dei suoi possedimenti nell’Appennino per sfiancare le schiere avversarie.
La contesa tirò per le lunghe finchè, il 2 luglio 1084, la coalizione favorevole al papato, ingrossata dalle milizie bolognesi, riuscì a sconfiggere gli imperiali a Sorbara presso Modena.

Bisogna attendere il 1090 perchè l’ostinato Enrico fosse pronto ad una nuova avventura nell’ostile penisola. Matilde reagì con l’usuale fermezza alle notizie sempre più preoccupanti provenienti dalla Germania, offrendosi nel 1088 per un matrimonio politico col diciannovenne Guelfo V, erede della corona ducale di Baviera, e tessendo una rete di alleanze favorevoli al nuovo papa, Urbano II.

Lo stralcio della lettera scritta al futuro sposo da Matilde merita un’accorta lettura per la sua modernità, che quasi mille anni orsono poteva catalogarsi nella più tetragona blasfemia: «Non per leggerezza femminile o per temerarietà, ma per il bene di tutto il mio regno, ti invio questa lettera accogliendo la quale tu accogli me e tutto il governo della Longobardia. Ti darò tante città, tanti castelli, tanti nobili palazzi, oro ed argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro; e non segnarmi per l'audacia perchè per prima ti assalgo col discorso. È lecito sia al sesso maschile che a quello femminile aspirare ad una legittima unione e non fa differenza se sia l'uomo o la donna a toccare la prima linea dell'amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile.»

Se crediamo alle cronache, l’apparato nuziale fu a dir poco faraonico ma, come narra Cosma di Praga, nel suo Chronicon Boemorum, l’approccio tra la quarantatreenne Matilde e il suo giovane sposo fu sconcertante. Le prime due notti, infatti, il duca rifiutò il letto nuziale. Il terzo giorno Matilde si presentò nuda su una tavola, non sappiamo se in privato o alla presenza di testimoni, affermando che nella sua fisicità non c’era luogo che celasse dei malefici.
Èpossibile che il duca di Baviera si fosse mosso solo per interessi materiali, fatto sta che davanti alla sua indifferenza, l’indignata Matilde lo scacciò brutalmente ponendo fine a quell’inconsueta alleanza.

Tutt’altro che rassegnata, Matilde attivò le sue conoscenze politiche per sobillare contro il padre i figli dell'imperatore, Corrado ed Enrico di Lorena, appoggiandosi inoltre alla casata comitale dei Guidi in Toscana, per ostacolare un'altra dinastia, gli Alberti, fedeli all'impero.

Liberatosi della rivolta dei Sassoni, Enrico IV discese nel 1090 per la terza volta in Italia per chiudere in modo definitivo le contese con la Chiesa e suoi ferventi alleati. Superata Verona, dove cominciavano i possedimenti dei Canossa, fu avviato l’assedio di Mantova, durato fino al cosiddetto “tradimento del giovedì santo”, quando i cittadini ormai stremati patteggiarono la resa a fronte d’importanti concessioni dell’imperatore. A Matilde non restava che arroccarsi sull'Appennino reggiano, territorio assai ostico alle compagini di cavalleria feudale, altrimenti temibilissime in campo aperto.
Sottoposto ad un’estenuante guerriglia da parte dei feudatari ed assegnatari dei borghi fortificati, fedeli ai Canossa anche di fronte all'Impero, l’esercito invasore si trovò intrappolato nella Val d’Enza, dove fu sconfitto nel 1092.

Accompagnando un manipolo di guerrieri scelti, Matilde avrebbe galvanizzato i coalizzati, incitandoli a combattere per una giusta causa. A seguito della debâcle, Milano, Cremona, Lodi, Piacenza e altre città si sottrassero al controllo imperiale. Il momento no di Enrico trovò conferme l’anno successivo, quando suo figlio secondogenito, Corrado di Lorena, fu incoronato Re d’Italia col sostegno del papa, di Matilde e da una lega di città lombarde.
All’apice del successo Matilde si peritò persino di dar rifugio alla moglie dell'imperatore, Prassede, figlia del Re di Russia, la quale giunse a denunciare l’illustre consorte per i maltrattamenti subiti durante il suo soggiorno- prigionia a Verona.
Quest’episodio si collega direttamente agli atti del Concilio di Piacenza nel 1095, durante il quale Urbano II, oltre a riaffermare la prosecuzione della linea ideologica di Gregorio VII, cominciò a delineare quelli che sarebbero stati gli elementi portanti della peregrinazione per riportare le terre di Cristo nell’orbita cristiano-occidentale, come poi fu ufficializzato a Clermond nello stesso anno.


Appare consolidato che il gesto accompagnasse, all’indubbia valenza per le comunità cattoliche, il tentativo di stornare il rissoso feudalesimo, a cui così spesso l’Impero si era appoggiato, verso obiettivi più appetibili e lontani dall’Europa, secondo un disegno caro alla devota sostenitrice della Chiesa, Matilde.
Conquistata Gerusalemme con un incredibile colpo di fortuna nel 1099, deposto e deceduto Corrado di Lorena nel 1101, alla morte di Enrico IV nel 1106, il nuovo imperatore Enrico V reclamò nuovamente i suoi diritti contro il papato e i rivoluzionari italici.

Stavolta l’atteggiamento di Matilde fu stranamente accomodante, al punto da confermargli i feudi posti sotto la protezione del papato oltre vent’anni prima. A ricompensa dell’atto di sottomissione, Enrico la confermò "Regina d'Italia" e "Vicaria Papale", forse con l’intento di sfruttare i suoi appoggi altolocati a Roma.
È probabile che sugli avvenimenti pesasse la stanchezza e la vecchiaia di Matilde, che difatti morì nel 1115 senza lasciare eredi. I suoi domini furono presto incamerati da vari pretendenti senza escludere lo Stato della Chiesa, con il quale aveva combattuto a viso aperto contro le forze politiche più potenti del mondo d’allora.

Risulta evidente che ci siamo trovati davanti ad un personaggio femminile tra i più importanti dell’intero Medioevo, un periodo ben poco favorevole all’intra prendenza del gentil sesso. L’essere sopravissuta a tante traversie, l’aver sfidato con successo il potere imperiale sostenendo la causa del primato religioso, l’aver governato con acume vasti territori coalizzando in pace ed in guerra sono, al di fuori di facili apologie, la dimostrazione della statura umana di Matilde di Canossa.


Non ci risulta che la GranContessa abbia avuto l'onore di una monetazione sua propria. Le monete correnti del periodo erano quelle dello Stato della Chiesa e quelle degli Imperatori del Sacro Romano Impero, cui le terre dei Canossa facevano parte. Numerose invece le medaglie che rappresentano Matilde, alcune, fra le più significative, mostrate in questo lavoro.

Con Matilde di Canossa e assai più di seguito con Federico Barbarossa, la monetazione delle varie città lombarde riprende vigore e le genti reimparano ad utilizzarle. Le ricevono quale compenso per prestazioni di lavoro o per scambio di beni di consumo. Circolano denari, mezzi denari ed oboli d'argento; monete emesse dai Comuni di Mantova, Cremona, Brescia, Genova, Pavia, Milano, Venezia, Verona.




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