Illustriamo molteplici esempi di contraffazioni correggesi, confrontandoli con le relative monete di riferimento.
Gli uomini accettano le monete senza leggere cosa ci sia scritto, è sufficiente ci sia una figura: era proprio sulle figure che si fondava l’imbroglio.
In alcune monete dei Signori Da Correggio, gli elementi araldici dello stemma sono stati rispettati, altri invece hanno subito modificazioni per imitare meglio le monete di altre zecche.


Nel 1569 il Senato di Bologna fu informato che a Correggio era iniziata l’emissione di monete simili ai bianchi Bolognesi, col leone e la testa di un Santo che sembrava un Papa. Venne saggiato il loro contenuto d’argento e risultò di un valore inferiore ai bianchi di Bologna di 5 quattrini per ogni moneta che ne valeva 60. Fu quindi chiesto ufficialmente d’interrompere l’emissione perchè screditava le buone monete di Bologna. Dopo due anni le autorità bolognesi si videro costrette a pubblicare un bando che vietava tutte le contraffazioni del proprio bianco riportando come esempio l’immagine del bianco di Guastalla. Non per nulla le zecche di Correggio e di Guastalla erano gestite dallo stesso zecchiere.




Qui vediamo il bianco di Bologna e la sua contraffazione eseguita a Correggio che fu vietata con un bando del 1626. Per non cadere nell’accusa di aver prodotto moneta falsa, il busto del pontefice era sostituito con quello di San Quirino, vestito però con l’abito pontificale per favorire l’inganno, mentre dal vessillo del leone pendeva una vistosa correggia, emblema parlante della famiglia. Non si poteva quindi dire che le monete non portassero l’indicazione della zecca emittente. I bianchi di Bologna circolavano in diverse regioni del Nord Europa come dimostrano le contraffazioni eseguite anche in quei territori, ma ai Bolognesi interessavano quelle che portavano danno alla propria circolazione interna. Nel 1626 il governo di Bologna fu costretto a bandire quelli eseguiti a Messerano e Correggio, e persino quelli della cittadina francese di Boulogne che evidentemente speculava sulla somiglianza del nome con la città emiliana.




Anche le monete battute a Modena furono contraffatte dalla zecca di Correggio. Un esempio è questo “aquilone”, sul cui dritto Alfonso II d’Este aveva posto l’aquila estense che riempiva tutto il campo. Per imitarlo, la zecca di Correggio mise al rovescio la figura stante di San Quirino, molto simile a quella del patrono modenese San Geminiano. Al dritto fu raffigurata l’aquila bicipite dell’impero asburgico che, anche se aveva due teste, ad un’osservazione superficiale poteva essere scambiata per quella estense con una sola testa.




Anche la zecca di Venezia fu vittima delle contraffazioni di Correggio. L’operazione criminale fu organizzata dal famigerato zecchiere Agostino Rivarola che operando quasi contemporaneamente in più di una delle piccole zecche padane che battevano moneta, eseguì numerosi imbrogli. Nel 1623 lo zecchiere venne condannato in contumacia dalle autorità della repubblica di Venezia per aver contraffatto le proprie monete. Questa contraffazione ` stata attribuita a Correggio per le lettere S.C.P. che significherebbero Siro Principe di Correggio.




Le contraffazioni potevano interessare le monete d’oro o di buon argento, ma non trascuravano nemmeno gli spiccioli di bassa lega d’argento o di rame, destinati ai piccoli commerci quotidiani. Siccome il loro contenuto metallico aveva un valore considerevolmente inferiore a quello nominale, rappresentavano una notevole fonte di guadagno anche per le zecche “oneste”. In questa diapositiva è raffigurato un bando bolognese che vietava le monete di bassa lega straniere. Sopra c’è il tipico quattrino di Bologna con le chiavi pontificie e San Petronio seduto. Sotto c’è una delle tante sue contraffazioni; in questo caso è della zecca di Desana.




Questo è l’esempio di un quattrino di Correggio che imitava quello di Ferrara. La tecnica scadente che tutte le zecche usavano per battere i quattrini, facilitava la confusione delle immagini. Inoltre il loro basso valore rendeva superfluo per la gente comune controllare la loro autenticità, tanto tutti erano sicuri che nessuno faceva poi delle storie nell’accettarli. In questo quattrino di Correggio il patrono locale San Quirino simula perfettamente San Maurelio di Ferrara. Inoltre viene usato il vecchio stemma con la fascia a metà in modo da confondersi meglio con lo stemma di Ferrara troncato a metà.




In questo caso è un quattrino della zecca di Lucca ad essere contraffatto. La grande lettera L del dritto è sostituita da due lettere C ed F, che stanno per Camillo e Fabrizio. Si noti che se la moneta viene ruotata di 180°, si confondono molto bene con la grande lettera “L” della moneta lucchese. Al rovescio, anche la testa barbuta di San Quirino si confonde facilmente con il “Volto Santo” del Cristo di Lucca.




In questo caso la contraffazione è ai danni di Modena. Non si tratta di un quattrino ma di un sesino da due quattrini, egualmente di mistura e considerato uno spicciolo. La testa di Siro Da Correggio sostituisce quella di Cesare d’Este, e, come abbiamo visto per l’aquilone, l’aquila non è più quella estense, ma è quella imperiale di cui si potevano fregiare i Signori di Correggio.




In questo caso l’imitazione riguarda una moneta dei Savoia e l’operazione di chirurgia estetica si è concentrata sul motto FERT, breve ma ancor oggi misterioso, che caratterizza molte monete di questi sovrani. Come si può vedere le lettere poste all’inizio e alla fine sono state sostituite da due croci un pò deformate, mentre al centro si trovano due lettere che sono una C e una F, iniziali di Camillo e Fabrizio.




I signori di Correggio non si limitarono ad eseguire contraffazioni di monete italiane, ma lo fecero anche per alcune monete emesse oltre le Alpi.

In questo caso la vittima è il Leeuwendaalder olandese. Il cui nome tradotto significa tallero del Leone. I talleri erano grandi monete del peso di circa 30 grammi battute per la prima volta alla fine del ‘400 nel Tirolo con l’argento di quelle miniere. Per il suo grande successo commerciale fu imitato in modo più o meno onesto da moltissime zecche europee e in seguito americane. Il suo nome divenne in Scandinavia daler, in Portogallo dolera, divenendo in inglese dollar. E questo basti per riassumere la sua importanza nella storia monetaria mondiale. Tornando al tallero olandese, le contraffazioni di Correggio erano veramente molto somiglianti: probabilmente non lo erano altrettanto nel loro intrinseco metallico. Il tallero di tipo olandese era in gran parte destinato all’esportazione nei mercati del Levante dove l’argento affluiva in abbondanza perchè sopravvalutato rispetto al corso europeo. Tuttavia circolava anche in Italia come dimostrano i bandi di molte città. Un bando bolognese del 1612 tariffava un gran numero di monete italiane ed estere tra le quali è presente il tallero di Correggio assieme a monete di Guastalla, Tassarolo e Massa di Toscana, tutte zecche con il vizio delle contraffazioni.




Qui vediamo in alto un tallero del Sacro Romano Impero, emesso a nome dell’arciduca Ferdinando (1564-1595). Sotto se ne trova uno, decisamente simile, ma emesso da Ferrante II Gonzaga, signore di Guastalla. A Guastalla furono due fratelli tedeschi, Pietro e Luca Xell, che chiesero a Ferrante II Gonzaga di poter battere moneta nella sua zecca. Fu quasi tutta d’imitazione per essere esportata sui mercati esteri. Tuttavia la loro gestione fu molto corretta e lo si comprende dal fatto che il tallero imperiale e quello guastallese ebbero sempre lo stesso corso in tutte le piazze. Ben diverso fu invece quello del tallero di Correggio. Nelle monete imperiali e di Guastalla lo stemma è circondato dal collare del Toson d’oro, una delle principali onoreficenze dell’epoca. Poichè il Principe di Correggio non ne era stato insignito, non poteva ostentarlo, per cui sulla moneta fu raffigurato un collare simile ma senza pendente.




In questo caso è imitata una moneta svizzera, che fu emessa in società da tre piccoli cantoni: URI, SVITTO e NIDVALDO. I conti di Correggio sostituirono gli stemmi dei tre cantoni con altri tre sui quali si trovavano alcune figure del proprio stemma: il leone rampante, l’aquila e lo stemma rosso con la fascia d’argento. In molti casi erano banchieri e mercanti stranieri che consegnavano l’argento agli zecchieri per far produrre le monete contraffatte, per poi andarle a spacciare nei mercati dell’Europa Centrale. Queste monete, dopo essere state messe in circolazione in quei territori, continuavano a circolare anche se veniva scoperta la loro scarsa qualità. Infatti nei primi decenni del ‘600 l’Europa a nord delle Alpi fu interessata da continui conflitti di lunga durata che determinarono una tale richiesta di moneta da portare alla riduzione dei controlli statali.




Certamente la Svizzera era uno dei luoghi preferiti per lo spaccio delle monete contraffatte dai principi italiani. Qui la contraffazione riguarda una moneta svizzera del cantone di Sciaffusa. Nonostante la somiglianza, dal castello raffigurato sulla moneta svizzera esce una capra, mentre da quello di Correggio esce un leone. La legenda che tradotta in italiano significa il laccio è logoro potrebbe essere un’allusione ad un gesto di intolleranza nei confronti dell’Imperatore che a parere di Siro si comportava ingiustamente contro di lui.




In questo caso il conte Camillo ha contraffatto un ongaro d’oro. L’ongaro aveva questo nome perchè la sua coniazione era iniziata in Ungheria a partire dal 1342 utilizzando l’oro estratto dalle ricche miniere di quella regione. I re ungheresi avevano voluto emetterlo ad un valore uguale a quello del fiorino d’oro di Firenze. Fu imitato da molti stati europei e In Italia fu battuto in molte zecche, soprattutto della pianura padana.




La contraffazione di una moneta d’oro, difficilmente aveva vita facile perchè i controlli su questo tipo di monete erano molto accurati, rendendone più difficile lo spaccio. Molti governi li vietavano, considerandoli in pratica dei falsi. Altri, forse per motivi di buon vicinato, li lasciavano circolare tariffandoli ad un valore inferiore a quelli di intrinseco giusto.


Nel 1596 lo zecchiere di Correggio fu accusato di fabbricare ongari di titolo più basso del normale. Questa notizia è confermata anche da una cronaca modenese in cui si specifica che aveva fatto ongari falsi per inviarli in Ungheria. Quando la truffa fu scoperta, l’Imperatore ordinò al duca di Mantova di inviare a Correggio degli uomini per catturare lo zecchiere; ma quando Camillo ne venne a conoscenza lo fece fuggire. Forse temeva che una volta catturato e sottoposto a tortura, potesse confessare di aver agito con il suo consenso. In altri casi, come accadde a Mirandola, i principi al cui nome erano state emesse le monete, fecero imprigionare e giustiziare immediatamente il loro zecchiere, scaricando ogni colpa su di lui, prima che potesse confessare qualcosa. Una grida mantovana del 1596 vietò gli ongari di Correggio definendoli “adulterini”. Invece il duca di Modena, forse per mantenere un buon vicinato con i conti di Correggio, si limitò a svalutarli pesantemente. La sua grida valutava gli ongari di Correggio a 6 lire e 10 soldi, molto meno rispetto agli altri ongari che valevano 7 lire e 5 soldi.




Terminiamo con questo documento che fu presentato come prova durante il processo intentato dall’Imperatore contro il Signore di Correggio e che si concluse con la condanna e la privazione del feudo.

Questa imitazione di uno scellino tedesco è una delle monete che furono emesse in base alla concessione rilasciata da Siro nel 1620 e sottoscritta dal Rivarola. Siro subì l’onta della prigione e anche se poi venne liberato, il feudo fu perduto per sempre. L’imperatore lo cedette agli Estensi per una bella cifra.






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