L'uomo barca di Aristotele
di Alessandro Turrini
Aristotele era un appassionato, tra le altre cose, di problemi legati al mondo sommerso. Egli avrebbe influenzato con la sua passione per il mondo subacqueo Alessandro Magno il quale, durante l'assedio di Tiro, nel 325 avanti Cristo, avrebbe fatto costruire una specie di grande cofano o di grande botte ben calafatata con bitume e rinforzata con lastre di bronzo. Questa specie di botte era larga 3,70 m e alta 2 m; era inoltre dotata di portelli provvisti di vetri incolori che consentivano di osservare l'ambiente marino. Fu denominata "Skaphe andros", letteralmente "uomo barca". Secondo la storia, o più propriamente la leggenda, una volta approntato lo Skaphe andros, esso fu imbarcato su una nave fenicia e portato sul luogo dell'immersione. Si racconta che il giorno della prova lo Skaphe andros venne rifornito di viveri, di lampade a olio e di tuniche per il freddo: alle dieci del mattino entrarono nella botte Alessandro Magno e Nearco, il comandante della flotta greca: la botte venne filata a mare opportunamente zavorrata e sostenuta da robuste funi. L'immersione durò fino a notte, dopodiché Alessandro ordinò la risalita.
Naturalmente, come spiegheremo meglio in seguito, l'episodio non può essere avvenuto esattamente come è stato descritto. Tuttavia, almeno come concezione, lo Skaphe andros può essere considerato l'embrione dell'idea del sottomarino. In questo caso la pressione idrostatica si esercitava sull'involucro dello Skaphe andros, mentre Alessandro Magno, al suo interno, poteva respirare esattamente come se si fosse trovato in superficie. Sempre Aristotele parla di altri due apparecchi usati per operare in immersione e chiamati "campana" e "cornamusa". Pur non conoscendo nei dettagli come erano fatti questi apparecchi, si può sicuramente affermare che erano del secondo tipo sopra accennato, cioè portavano l'aria da respirare alla stessa pressione idrostatica a cui erano sottoposti gli operatori in immersione.
Come è possibile creare un sistema che consenta all'aria che deve essere respirata dal sommozzatore di cambiare continuamente pressione a seconda dei movimenti in senso verticale del sommozzatore stesso? Questo problema, apparentemente complesso, trovò fin dagli inizi una facile soluzione ricorrendo all'esperienza pratica. Fin dall'antichità si è constatato che posizionando sulla superficie del mare un secchio capovolto o più genericamente un recipiente a forma di campana e appesantendolo fino a farlo affondare, l'aria all'interno della campana non sfuggiva. Aumentando la pressione esterna con l'affondamento della campana, l'aria imprigionata diminuiva il suo volume in funzione della quota che veniva raggiunta progressivamente nell'affondamento, mentre la sua pressione contemporaneamente aumentava e si manteneva uguale a quella esterna. Viceversa, diminuendo la quota, l'aria imprigionata diminuiva di pressione e contemporaneamente aumentava di volume.
Se viene realizzata una campana sufficientemente grande e viene applicata sulla parte superiore del corpo di un operatore subacqueo in modo che la sua testa rimanga nel cuscino d'aria, si creano le condizioni perché un uomo possa operare in immersione respirando l'aria imprigionata nella campana la quale, come detto sopra, è sempre alla stessa pressione dell'acqua esterna e quindi dei polmoni dell'uomo.
Nasceva subito un problema pratico: l'autonomia del sommozzatore era direttamente proporzionale alla quantità di aria disponibile e cioè al volume della campana. Purtroppo l'aumento di dimensioni della campana ostacolava le possibilità operative e di movimento del sommozzatore. Bisognava mantenere piccola la campana, e semmai essa doveva essere rifornita continuamente di aria da una fonte esterna. Se si applica alla campana un tubo, lo si fa arrivare fino in superficie e lo si collega con una pompa in grado di comprimere l'aria e di mandarla nella campana, si riesce a rifornire costantemente il sommozzatore di aria nuova e di conseguenza viene aumentata enormemente la sua autonomia in immersione: il fatto che la campana sia aperta inferiormente e che il cuscino d'aria sia sempre a contatto con l'acqua esterna, consente che all'interno e all'esterno della campana vi sia sempre equilibrio di pressione. L'eventuale eccesso di aria inviata dalla pompa che sta in superficie non crea alcun problema, in quanto l'aria in eccesso sfuggirà automaticamente dalla parte inferiore della campana. Come si può constatare, è il principio di funzionamento del palombaro tuttora applicato con migliorie tecniche di secondaria importanza.
Il palombaro, tuttavia, ha una notevole limitazione operativa dovuta al fatto di essere vincolato a una fonte di energia esterna. La condizione ideale sarebbe quella di rendere completamente autosufficiente il sommozzatore dotandolo di un serbatoio d'aria che alimenta la campana. Se si collega la campana con un tubo, a sua volta fissato a un sacco impermeabile e flessibile pieno d'aria (una specie di cornamusa) che il sommozzatore si porta appresso, allora si verifica il seguente fenomeno: l'aria contenuta nella cornamusa, essendo questa flessibile e impermeabile, con l'aumentare della quota e quindi della pressione idrostatica si comprime, diminuendo di volume, ma rimane sempre alla stessa pressione dell'aria presente nella campana. Il sommozzatore, in questo modo, può disporre sia dell'aria contenuta nella campana sia di quella contenuta nella cornamusa. E' facile intravedere nella cornamusa il principio di funzionamento delle moderne bombole d'aria compressa in uso ai sommozzatori.
Vale la pena di evidenziare che i tre sistemi per far respirare l'uomo in immersione citati da Aristotele, e cioè lo Skaphe andros, la campana e la cornamusa, che in termini moderni potremmo chiamare rispettivamente sottomarino, palombaro e apparato con bombole ad aria compressa, sono gli unici sistemi praticati ancora oggi; nessun altro sistema è stato ideato e non si intravede alcuna possibilità neppure per il futuro a lungo termine. Dall'epoca di Aristotele sono stati fatti unicamente progressi nell'evoluzione tecnica di questi concetti.
A questo punto concentriamo l'attenzione solamente sullo Skaphe andros, considerato l'antenato dell'idea di sottomarino. Dopo l'apparecchio citato da Aristotele, non si sa quasi nulla di altri esperimenti di battelli subacquei per molti secoli. Eppure il fatto che Archimede (287-212 a.C.) avesse scoperto la legge che governa i corpi immersi nei liquidi e che è alla base dell'ideazione di qualunque battello subacqueo, avrebbe dovuto accendere la fantasia di qualche uomo di genio.
Secondo alcuni storici sembrerebbe che Leonardo da Vinci abbia ideato una nave sottomarina e che poi abbia distrutto ogni traccia dell'invenzione perché la giudicava eccessivamente pericolosa. Questa notizia è abbastanza attendibile: infatti nel suo Codice Atlantico Leonardo ha riportato interessanti disegni di pinne natatorie e di apparecchi per la respirazione in immersione, e ha sviluppato alcuni concetti che inducono a ritenere che si sia dedicato pure all'ideazione di un battello subacqueo. Se lo ha fatto, e tutto lascia intendere che ciò sia vero, sarebbe una cosa logica, in perfetta linea con il suo stile di comportamento.
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